Negli ultimi tre decenni dell’Ottocento Parigi va sempre più affermandosi come capitale dell’arte e della cultura europee.
Molti artisti, letterati e intellettuali trovano nell’ambiente parigino un’apertura di pensiero e una modernità che in Italia non è ancora presente.
Il fenomeno dei macchiaioli
Nella caotica situazione politica e istituzionale dell’Italia preunitaria, sono ancora presenti le tre grandi aree previste nel 1815 dal Congresso di Vienna.
A nord il Regno Lombardo-Veneto sotto il controllo austriaco, così come il Granducato di Toscana; al centro vige il potere temporale dei papi e a sud il Regno delle Due Sicilie sotto il controllo dei Borboni.
Il Caffè Michelangelo
Fin dagli anni Quaranta del’Ottocento, Firenze è una delle capitali culturali più libere d’Italia, sicuro e stimolante punto di riferimento per artisti e perseguitati politici che le repressioni avevano costretto al silenzio o alla fuga.
A partire dal 1850 questi giovani iniziarono a riunirsi nel Caffè Michelangelo, un locale allora molto noto e frequentato.
L’anima intellettuale del gruppo era Diego Martelli (scrittore, critico d’arte e mecenate fiorentino), che teorizzò per primo “la macchia in opposizione alla forma”.
La Macchia
Il fenomeno macchiaiolo nasce quindi in questi ambienti tra il 1855 e il 1867.
Le premesse culturali che hanno consentito la nascita e lo sviluppo della macchia sono da ricercarsi nella rivolta dell’accademismo e nella volontà di ripristinare il vero. Dato che, secondo i giovani artisti, tutte le nostre percezioni visive avvengono grazie alla luce, ogni pittura doveva necessariamente riprodurre la sensazione stessa della luce.
La pittura pertanto deve cercare di ricostruire la realtà per masse di colore e il modo più semplice e utile per riuscirvi è quello di utilizzare le macchie. Queste a differenza delle virgolettature, consistono in campiture di colore di diversa ampiezza, stese in modo omogeneo e accordate fra loro in base alle tonalità.
Al grande gruppo dei Macchiaioli aderiscono artisti di svariata formazione provenienti da molte parti d’Italia.
Scuole divise per aree geografiche (Lombardia, Toscana e Campania) a causa del grande fermento presente tra gli artisti.
Si incontravano in questi Caffè dove discutevano non solo sull’evoluzione dell’arte pittorica, ma spesso anche della situazione politica.
Federico Zandomeneghi
Formatosi presso l’Accademia di Belle Arti di Venezia, combatte in seguito nelle campagne garibaldine del 1860, partecipando anche all’impresa dei Mille. Dal 1862 al 1866 è a Firenze, dove conosce e frequenta i Macchiaioli del Caffè Michelangelo. Dal 1874 si trasferisce definitivamente a Parigi, insieme ad un altro gruppo di pittori italiani. Da Edgar Degas apprenderà l’amore per la pittura di interni e per la tecnica del pastello.
A pesca sulla Senna
Il soggetto rimanda al repertorio impressionista e rappresenta le rive della Senna. L’orizzontalità della tela sottolinea lo scorrere del fiume tra i due argini erbosi ed è ulteriormente definita dalle fasce in cui terra, acqua e si alternano con equilibrio. All’orizzonte una ciminiera fumante rimanda al progresso dell’industrializzazione. Un pescatore attende paziente sulla barca. In primo piano a sinistra è presente una giovane donna con in mano un ombrellino parasole ed è in attesa del secondo uomo che pesca, dal quale si intravede solo il cilindro. Qua e là sono presenti tocchi di colore che percorrono la scena catturando l’attenzione: la cintura rossa della donna, i fiori che si intravedono fra l’erba e il giallo intenso di un campo lontano.
Le solide campiture macchiaiole del periodo fiorentino hanno già ceduto il posto alle nuove suggestioni impressioniste.
Giovanni Boldini
Giovanni Boldini inizia il proproio percorso formativo presso L’Accademia di Belle Arti di Firenze.
Entrato precocemente in contatto con l’ambiente intellettuale del Caffè Michelangelo, mostra un immediato interesse per la pittura macchiaiola.
Nel 1871 si stabilisce definitivamente nella capitale francese, dove fece amicizia con Edgar Degas. Qui si dedica con successo a ritrarre la mondanità cittadina, conducendo una brillante vita sociale e frequentando i teatri, i Salons e i salotti culturali.
Di conseguenza la sua pittura, caratterizzata da un tocco rapido e incisivo, da tagli audaci e da colori squillanti, giunge a configurarsi come una delle più originali espressioni della ritrattistica fin de siècle.
Madame Charles Max
La giovane donna è fasciata da un abito da sera bianco, sorretto da un’unica sottile spallina.
Al candido e generoso décolté si contrappongono il rosa delle gote, le labbra vermiglie, i vivaci occhi neri e la spettinata capigliatura scura.
L’intero corpo della donna esprime un senso complessivo di floridezza, gioventù e movimento. Il tutto è sottolineato dalla forte inclinazione delle spalle, dalla gamba sinistra appena sollevata, dal braccio corrispondente slanciato all’indietro, mentre la mano destra raccoglie con un gesto il lungo vestito per agevolare l’andatura.
Giuseppe de Nittis
Giuseppe de Nittis si appassiona, già da bambino, al disegno e inizia a prendere lezioni dal pittore Giambattista Calò, maestro di scuola napoletana.
Successivamente si trasferisce a Napoli con i fratelli e, per realizzare il suo sogno di diventare pittore, si iscrive all’Istituto di Belle Arti anche se osteggiato dalla famiglia. Irrequieto e ribelle, mostra presto una grande insofferenza verso metodi di insegnamento e stili artistici che considera superati.
Nel 1867 presenta alcune opere all’Accademia delle Belle Arti di Firenze, suscitando grande ammirazione tra i Macchiaioli.
Sempre alla ricerca di uno stile personale, Giuseppe de Nittis si trasferisce a Parigi, dove fa preziose conoscenze con mercanti d’arte. Il giovane pittore attribuisce grande importanza al risalto cromatico, alla resa del volume della luce e dei colori e Parigi, con i suoi boulvars, le donne eleganti e la vita mondana, diventa il soggetto perfetto per i suoi quadri.
Fra i soggetti preferiti le donne occupano un posto privilegiato, ritratte nei luoghi in cui si svolge la vita di quella società dinamica e in crescita: nei grandi parchi, lungo le passeggiate, alle corse, nei salotti e nelle stanze delle ricche dimore borghesi.
Nel 1874 de Nittis partecipa, come unico italiano, alla prima mostra degli Impressionisti, mentre continua ad esporre al Salon riportando un enorme successo con il dipinto “Che freddo!”.
Che freddo!
Tra le opere più famose si ricorda Che freddo!, attraverso la quale fu soprannominato il “pittore delle parigine”.
La composizione ha un taglio disequilibrato e frammentario: Il taglio che de Nittis impone al dipinto è di tipo fotografico e, come in una fotografia istantanea, alcune figure risultano uscire parzialmente dall’inquadratura.
La scelta cromatica si basa sui toni del grigio e del bruno.
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