L’industria è in espansione in tutti i settori, produzione e consumo cominciano ad assumere dimensioni di massa.
Le ferrovie, i transatlantici, i voli aerostatici riducono i tempi e le distanze. Gli sviluppi dell’elettricità, delle comunicazioni radio, della chimica e della medicina migliorano la qualità della vita.
La fotografia, il cinema e lo sport offrono svago e divertimento per tutti. Gli anni della Belle Époque sono anche gli anni del Can-can e del Moulin Rouge.
Si avvicina il nuovo secolo e la società occidentale lo attende con ottimismo.
L’umanità sembra avviarsi verso un pensiero positivista, dove non c’è posto per la povertà, la malattia e la guerra.
È l’Europa alla fine dell’800: è la Belle Époque.
A differenza del comune approccio medico che tendeva a sottovalutare tutte le patologie di natura psicologica, Freud e altri medici cominciarono ad osservare con occhio più curioso i fenomeni isterici e i sintomi nevrotici (fobie varie, tosse nervosa, anoressia, ecc) e a cercare metodi per curarli.
Continuando ad indagare autonomamente le cause dell’isteria, egli arrivò alla conclusione che, alla base dei sintomi nevrotici, non c’erano dei problemi organici ma un conflitto, operante al di là della sfera cosciente del soggetto, tra forze inconsce.
Da questa scoperta nacque dunque la psicoanalisi che letteralmente significa studio della mente e che, nello specifico, riguarda l’inconscio.
Le sue teorie costituirono una vera e propria rivoluzione nel pensiero occidentale ed ebbero ripercussioni sulle più svariate discipline (letteratura, filosofia, arte, sociologia).
Secondo Freud la personalità dell’individuo si crea a partire dall’equilibrio (o squilibrio) di tre “istanze” inconsce:
- Es: è la parte oscura, inaccessibile della nostra personalità, non conosce né il bene, né il male, né la moralità
- Super-io: è l’insieme delle proibizioni che l’individuo possiede
- Io: è la parte organizzata della personalità che deve equilibrare le pressioni spesso contraddittorie dell’Es, del Super-io e del mondo esterno
Nella seconda metà del XIX secolo le città iniziano a cambiare forma. C’è bisogno di ordine e pulizia, è necessario distinguere i luoghi della produzione da quelli del commercio, le zone amministrative da quelle abitative.
Si devono tenere distanti le case degli operai da quelle dei borghesi.
Servono strade ampie e rettilinee, che possano essere attraversate in tram o in automobile. Le facciate degli edifici devono essere allineate per ospitare i negozi e le vetrine.
A Parigi l’urbanista Georges-Eugène Haussmann mette in atto una vera e propria opera di sventramento del centro storico per la realizzazione dei grandi Boulevard, illuminati di giorno e di notte. Allo stesso tempo sorgono nuovi quartieri periferici e viene messa a punto una fitta rete di trasporti, i boschi reali vengono trasformati in parchi pubblici.
Le esposizioni universali
La competizione tra i paesi si gioca nell’ambito dell’economia, della produzione industriale, dell’arte nelle grandi esposizioni universali.
L’Inghilterra è la prima ad inaugurare il primo di questi grandiosi eventi, con l’esposizione di Londra del 1851 cui seguiranno quelle di Parigi, New York, Filadelfia, Amsterdam, Copenaghen, Saint Louis, ecc.
Vengono esposte merci di ogni tipo: quadri e sculture accanto a pezzi di fabbrica, prodotti dell’agricoltura e dell’artigianato, progetti architettonici e pezzi d’arredo.
Nasce così un’idea democratica della produzione artistica, intellettuale o industriale che sia.
Il gusto è sempre meno orientato verso gli standard accademici ed è sempre più orientato a soddisfare i bisogni di una classe borghese, imprenditoriale e dinamica che al bello vuole unire l’utile.
Fondamentale non è solo il contenuto ma anche il contenitore. Le strutture espositive realizzate per le grandi esposizioni devono trasmettere un senso di universalità, devono essere grandiose, luminose, funzionali devono incarnare esse stesse l’idea della modernità.
Esempio supremo è il Crystal Palace di Londra, realizzato da Joseph Paxton nella Great Exhibition of the Works of Industry of All Nations.
Gigantesca serra, costituita da una intelaiatura modulare metallica, montata al centro di Hyde Park. Pareti e coperture erano realizzate in vetro.
Il Crystal Palace si caratterizzava per ariosità e leggerezza, quasi fosse una teca delicata adagiata su un giardino senza alterarne l’aspetto, inglobandone i prati, gli alberi e le fontane.
Tocca a Parigi l’onore di organizzare l’evento di chiusura del vecchio secolo e di apertura del nuovo.
Per l’esposizione del 1900 si costruiscono il Petit Palais e il Gran Palais, ma molti altri edifici vengono utilizzati come padiglioni: l’intera città si fa mostra.
L’evento è ricordato in particolare per la costruzione della Torre Eiffel, posizionata all’entrata della zona espositiva, dopo il Pont d’Iéna.
L’Expo era inoltre l’occasione per celebrare il centenario della presa della Bastiglia e della Rivoluzione Francese, oltre al 18° anniversario della Terza Repubblica.
Rappresentò, inoltre, un punto di svolta per la musica francese e per quella moderna in generale.
Come venne descritta da alcuni contemporanei, l’evento parigino fu dal punto di vista musicale una sorta di “enorme enciclopedia”.
Ogni Paese partecipante aveva portato con sé la propria musica, dove suscitò grande attenzione la musica etnica proveniente da Paesi non occidentali.
Per esempio, il compositore Claude Debussy ebbe modo di ascoltare per la prima volta un’orchestra gamelan, tipica dell’Indonesia e di Giava.
Il compositore francese rimase affascinato da questo tipo di musica e proprio per questo in alcune sue composizioni si possono riscontrare citazioni dirette di scale, melodie, ritmi o tessuti musicali di gamelan.
Il compositore russo Rimskij-Korsakov rimase colpito dalla musica etnica dell’Algeria, che lo ispirò nella composizione della sua opera “Mlada”.
La città di Parigi si arricchì di teatri, musei, sale da ballo, casinò e soprattutto di caffè. I tavolini di quest’ultimi finirono così per invadere gli enormi marciapiedi degli ampi viali cittadini, i boulevards.
Senza Parigi l’Impressionismo non sarebbe potuto esistere, ma senza l’Impressionismo Parigi non sarebbe mai stata immortalata e ritratta nei suoi aspetti che hanno contribuito a costruire il mito della Belle époque.
Gli impressionisti, di fronte a questa sensibilità verso il progresso tecnico e scientifico, erano ancora legati alla produzione artistica di tipo accademico. Proprio contro questo accademismo si scaglieranno con maggiore impeto.
Le contraddizioni e la fine della Belle Époque
In quest’ottica di pace, prosperità, fioritura delle arti industriali la Belle Époque si prospetta dunque come vera età dell’oro.
In realtà si tratta anche di un periodo denso di contraddizioni, di eccessi nazionalistici, di conflitti sociali pieni di conseguenze drammatiche.
Accanto al volto illuminato e moderno ogni grande città ne ha anche uno oscuro e nascosto, nelle periferie degradate si ammassano in convivenza forzata migliaia di lavoratori, che devono ancora lottare per vedere riconosciuti equi salari e condizioni di lavoro dignitose.
La classe contadina si disgrega completamente, quelli che non trovano posto nelle nuove fabbriche emigrano nel nuovo continente, perdendo terra, affetti e identità.
È anche l’età dell’imperialismo e del colonialismo. Buona parte della ricchezza delle grandi potenze europee si basa sullo sfruttamento dei domini extraterritoriali.
L’intera Africa è spartita tra Inghilterra, Francia, Belgio, Germania e Danimarca.
L’India e l’Australia sono completamente assoggettate alla corona Inglese.
L’Indonesia è dominata dagli olandesi.
All’interno dei grandi imperi, quelli che saranno spazzati via dalla Prima Guerra mondiale, si registrano fermenti, movimenti indipendentisti e separatisti.
L’Europa si risveglia bruscamente con uno sparo il mattino di Sarajevo.
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