Nell’epoca storica in cui stiamo vivendo, caratterizzata dal web e dal digitale, si sente spesso parlare di design e, nello specifico, di visual design: ma cosa si intende veramente con questo termine che è entrato a far parte del linguaggio comune?
La prima parola “visual” richiama immediatamente la sfera del visivo e dell’immagine, quindi si tratta di un concept legato all’utilizzo di foto, colori, simboli e segni che si trasformano in significati e significanti.
Il termine “design”, invece è più complesso e molto bistrattato, dato che viene spesso utilizzato a sproposito.
Andiamo a scoprire tutto riguardo al fantastico mondo del visual design, una strategia comunicativa molto gettonata dovunque, dalla fotografia, alla cucina, alla moda, a qualsiasi attività commerciale e culturale, negli usi e nei costumi di un Paese.
Definizione di design
Se sfogliamo un comune dizionario di italiano, dalla parola design trapelano sinonimi come disegno, progettazione, progetto; dal francese dessein, design è la traduzione inglese di un processo creativo che ha l’obiettivo di coniugare al meglio resa estetica e fantasia con una specifica funzionalità.
Ecco perché si sente tanto parlare di oggetti di design quando si tratta di arredamento, industria automobilistica, ma anche di un semplice utensile per la cucina: quel risultato finale è il frutto di una ricerca visiva ed estetica unita ad uno studio tecnologico che ne fa un prodotto bello quanto utile.
Se volessimo fare un discorso più ampio e generale, potremmo dichiarare che il design ha una funzione collettiva e sociale perché giustifica l’effetto piacevole all’interno di un qualcosa di efficace, utile, funzionale e vincente. Un oggetto che non è il risultato di un mero esercizio artistico ma svolge uno specifico ruolo e semplifica la vita.
In sintesi, ecco perché un pelapatate o una macchinetta a cialde per caffè dalle linee piacevoli, compatte e avveniristiche, sono considerati degli oggetti di design: oltre ad essere belli e gradevoli da vedere, funzionano bene e fanno risparmiare tempo in cucina.
Il design in pillole storiche
Siamo nei primi decenni del 1900 quando in Germania nasce un movimento artistico ma soprattutto sociale, il Bauhaus, letteralmente casa del costruire: si tratta di una fucina creativa che riunisce artisti, artigiani, falegnami, ingegneri e ha lo scopo di sperimentare ed esercitare nelle arti applicate e nella progettazione.
Siamo sempre in Germania quando il noto architetto Mies Van Der Rohe conia il suo motto “less is more”, concept cardine della corrente del Minimalismo: si apre un mondo nuovo in cui la decorazione viene progressivamente e gradualmente messa da parte in funzione di linee pulite e sobrie che puntano direttamente alla funzionalità dell’oggetto.
Design: a cosa serve quell’oggetto? Quanto incide l’estetica?
Proseguendo con gli anni e giungendo al dopoguerra, durante il periodo del boom economico, le grandi industrie iniziano a utilizzare il termine del design come goal finale, cioè il connubio tra effetto estetico e funzionalità. Si comincia, ad esempio, a produrre sedie ergonomiche che soddisfano l’occhio e allo stesso tempo sono comode e salutari per la colonna vertebrale.
Sintetizzando, la parola design fa rima con ricerca, studio dei materiali, delle linee, dei componenti, dei colori e delle forme, dell’impatto con l’ambiente che ci circonda: il tutto inserito in un tessuto storico ed economico ben definito.
Citiamo il mitico Steve Jobs, forse tra i più famosi industrial designer che afferma quanto il design sia molto di più di un semplice esercizio estetico di linee e geometrie, ma un concetto complesso e un’esigenza che viene direttamente dalla massa, un’urgenza di utilità e salubrità per un mondo migliore (e più bello).
In questa prima parte abbiamo chiarito il significato di design e capito il motivo per cui è così tanto gettonato nel linguaggio comune.
Si tratta di un significato che abbraccia un macrocosmo di settori, tra cui ovviamente quello del visivo, dell’immagine e del visual che è argomento di questo spazio. Comunicazione visiva intesa come leva strategica.
Da una sola parola si diramano differenti microcosmi come graphic design, interior design, fashion design, industrial e research design; andiamo a chiarire termine per termine.
Graphic Design
Salta subito alla mente la parola grafica, ma cosa si intende con questo termine che ha un milione di interpretazioni? Siamo tutti d’accordo col definire grafica il risultato di un progetto che trova la sua concretezza nella comunicazione visiva.
Oppure, con una connotazione un poco filosofica che ricorda l’Iperuranio di Platone, la grafica è la progettazione di idee attraverso immagini, contenuti visivi e testuali, uniti all’esperienza utente che ne fruisce.
Con graphic design si intendono quindi le indagini e le ricerche in campo visivo che si traducono in idee e immagini, significati e significanti.
Interior Design
Con questo termine si intende il settore dell’architettura e dell’arredamento, le ricerche in fatto di complementi d’arredo appunto di design non solo per la casa ma anche per l’ufficio e per contesti pubblici e privati.
Fashion Design
Si chiamano fashion designer gli stilisti di moda più all’avanguardia e avveniristici che uniscono al manufatto sartoriale del vestito un’idea geniale, uno sprint in più che fa di quell’abito un oggetto unico ed irripetibile in cui è nascosto uno scoppiettante effetto WOW a sorpresa. Parliamo, ad esempio, della fashion designer Vivienne Westwood o dell’artista Oscar della Renta, le cui creazioni di moda sono delle vere e proprie sculture e opere d’arte.
Industrial e Research Design
Va da sé che si tratta di quel ramo che studia i processi industriali ma anche i prodotti tecnologici, tra cui macchinari e dispositivi high tech di ultima generazione.
Ora, manca solo il visual design: dopo quest’ampia introspettiva andiamo al sodo del nostro argomento.
Cos’è il visual design?
Con visual design si intende un ramo del disegno industriale che si occupa di creare dei prodotti grafici e multimediali: si parte da un’idea, da un concetto e da un messaggio e lo si traduce concretamente in un’immagine e in una grafica.
Visual design è quindi quello sposalizio ben riuscito tra estetica e funzionalità, una strategia comunicativa che fa leva sulle immagini e ha una precisa emergenza: quella di esprimere un’idea, un concetto, un pensiero, un sentimento, a livello grafico e multimediale.
Si tratta di un processo estetico che si fa costruttivo, pittorico, tecnologico, partendo dall’esigenza di comunicazione visiva fino alla comunicazione digitale. Progetto estetico e funzionale.
Quell’emergenza naturale e quella necessità di comunicare.
L’uomo, sin dalla preistoria, ha sempre avuto l’urgenza di comunicare con i propri simili e, prima di saper parlare, usava le immagini: è questo il concetto in nuce della comunicazione visiva.
Durante i progressi della specie umana questo bisogno di comunicazione e di identità visiva è stato ampiamente sperimentato, basti pensare alle discipline pittoriche e ai grandi geni che hanno tentato di immortalare Dio e la Natura attraverso la tavolozza dei colori e un supporto, come la tela o il marmo: pensiamo a Leonardo da Vinci, a Michelangelo, a Raffaello e ai grandi del Rinascimento Italiano.
Gradualmente l’immagine è uscita dalla tela, si è come spostata ed è diventata un qualcos’altro di poco definibile: ecco che assistiamo alla grande rottura che anticipa tutta l’Arte Contemporanea, spesso così ostica da comprendere. Dal pittorico e dal figurato, da immagini ben riconoscibili e realistiche, l’approccio visivo diventa informale, estroso ed estroverso, prende altre forme e non è più immediatamente riconoscibile, come i tagli di Fontana e le sperimentazioni cromatiche del dripping e dell’action painting di Jackson Pollock.
Tutta questa trasformazione graduale porta al manufatto così com’è, il Ready Made che emerge in tutta la sua concretezza, oppure al prodotto digitale che diventa evanescente e fatto di milioni di pixel.
Senza approfondire un argomento così complesso e allo stesso tempo avventuroso e affascinante che porta l’immagine figurativa a diventare multimediale, concludiamo col dire che visual design è ricerca e linguaggio visivo preposto alla comunicazione visiva e alla comunicazione digitale di siti web, social networks, blog, e-commerce e di tutti i contenuti presenti in internet.
Un calderone, quello del web, in cui la grafica è il pane quotidiano, l’elemento sostanziale di tutto il settore dei social media, degli shop online, del settore culturale ed amministrativo che è alla base della nostra società.
Il visual designer: chi è, cosa fa e come lavora
Quante volte alla domanda “cosa fai nella vita?” rispondiamo (oppure ci sentiamo rispondere) il blogger, il copywriter, il visual designer e una trafila di neologismi anglosassoni che spesso non si comprendono nell’immediato!
Niente paura, ora andremo a chiarire in cosa consiste una figura professionale che è gettonatissima, un vero e proprio trend nel lavoro attuale: il visual designer.
Detto fatto, il visual designer lavora con le immagini come il pittore con la sua tavolozza di tempere ad olio, come lo sculture con la lastra in vetro e il falegname con il legno.
Il modo più semplice per far comprendere questa professione è concretizzarla in un lavoro manuale e riconoscibile: il visual designer lavora con le immagini, con le forme e i colori, con le linee e i font, quindi con tutto il melting pot visivo della grafica e delle sue sfumature cromatiche. Il visual designer deve comprendere l’esperienza utente!
Quali sono le skills di un visual designer e in cosa consiste la sua professionalità?
Il lavoro del visual designer è molto complesso e si basa su solide fonti creative che si generano da una fortissima identità visiva: è un creativo con delle idee geniali, un fantasioso che traduce le proprie idee e i propri lampi di genio in messaggi visivi, immagini, font, significati simbolici e colori.
Attraverso il proprio linguaggio visuale fatto di forme, linee, geometrie e di una palette cromatica variegata, il visual designer lancia un messaggio e va a colpire direttamente il cliente attraverso un’intensa esperienza utente: si tratta in modo metaforico di utilizzare una fionda e di attirare l’attenzione dello spettatore, colpendolo, stimolandolo, solleticando la sua emotività grazie al potere del visual e dell’immagine.
Un visual designer lavora nel campo della grafica pubblicitaria ed editoriale, crea delle campagne visive per supportare un marchio e un brand, soprattutto per il web che è il canale più veloce ed efficace della nostra epoca storica.
Il visual designer lancia sassi nello stagno e genera dei cerchi, degli stimoli e delle onde elettromagnetiche che vanno a colpire direttamente le sinapsi dello spettatore, la sua curiosità e le sue emozioni.
Il visual designer nello specifico
Per fare un esempio concreto di un visual designer che tutti conosciamo, ci basta citare il celeberrimo Oliviero Toscani, fotografo di moda che ha creato delle campagne pubblicitarie shock per il brand Benetton.
Prima di tutto, cominciamo col ricordare che si tratta di una collaborazione e di un sodalizio tutto italiano: l’azienda di moda nasce nel 1965 in provincia di Treviso e durante la carriera apre numerosi shop e diventa quel colosso mondiale che tutti oggi conosciamo. Un marchio Made in Italy che alimenta la grande distribuzione, ma che parte da un messaggio ben chiaro che si traduce nella cosiddetta brand identity, l’identità di marca: la battaglia verso il razzismo e in generale verso gli stereotipi e i luoghi comuni.
Oliviero Toscani comprende immediatamente l’esperienza utente e il concept del suo cliente, tra cui Carlo Benetton: il risultato sono shoot fotografici, scatti irriverenti, installazioni forti e anticonformisti per campagne pubblicitarie che lasciano il segno.
Chi non si ricorda il discusso bacio a fior di labbra tra una monaca e un sacerdote, i vestiti sporchi di sangue di guerra, i cuori seriali sul tavolo del macellaio, le fotografie impertinenti che ritraggono preservativi coloratissimi come caramelle?
Questo è il potere profondo del visual, quello di colpire e sconvolgere l’opinione comune e di lanciare un messaggio nel sociale: il confronto è immediato con il design, e con la forza e la necessità di unire estetica e funzionalità, bellezza ed efficacia, significante e messaggio.
Da Oliviero Toscani e dalle sue campagne advertising in cui non vengono ritratti vestiti, cioè la merce, ma persone e messaggi, il passo è breve: oggi il ruolo del visual designer è di impressionare e lasciare una traccia nello spettatore.
Lo scopo finale, comunque, rimane quello di vendere o di ottenere likes e visualizzazioni, quindi è forte la componente concreta e socio-economica.
Ecco quindi che nascono visual designer che lavorano per blog e siti di cucina, di viaggi, che creano packaging per marchi di cibo e case di moda: il settore di applicazione è super assortito e tocca tante ispirazioni e altrettante sfumature del nostro lifestyle.
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